19 Aprile 2024

Per sostenere il Governo arrivano le ”intese d’emergenza” di Renzi o le ”intese chiare” di Alfano

Di Elia Fiorillo

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Voltare pagina. Con il voto del Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi si è cambiato pagina in Forza Italia. La stessa cosa capiterà quando sarà eletto il nuovo segretario del Pd, si volterà pagina. Nel primo caso già stiamo constatando gli effetti: Forza Italia ha alzato  barricate contro Alfano ed i suoi, ma soprattutto contro il governo che fu delle “larghe intese”. Fra qualche giorno nel Pd si deciderà la successione definitiva a Pier Luigi Bersani.  Renzi con molte probabilità andrà al comando e dovrà ricompattare il partito, ma anche sostenere con i fatti il governo che si dovrà difendere dagli attacchi concentrici di un’opposizione che farà di tutto per portare gli italiani al voto, senza se e senza ma.
La rabbia, il rancore, le preoccupazioni per la sorte giudiziaria del (ex) Cav. Berlusconi, ma anche gli opportunismi personali,  pesano sugli stati d’animo dei suoi seguaci. E si capisce, in quest’ottica, la richiesta al capo dello Stato dell’apertura formale della crisi di governo.  Per il sindaco di Firenze sarebbe stato più conveniente – una volta eletto segretario del Pd –  se non ci fosse stata la spaccatura nel Pdl-Forza Italia. Poteva continuare a fare il rottamatore duro e puro, con la puzza sotto al naso per un esecutivo composto da forze opposte ed incompatibili tra loro, provando a dare anche una spallata a Enrico Letta. Ma allo stato attuale non potrà troppo alzare il tiro. Dovrà sostenere Letta, senza retropensieri, e puntare dritto alle elezioni nel 2015.
L’apertura formale di una crisi di governo, con tutte le liturgie canoniche da seguire in un momento non certo facile per il Paese – con l’Europa che ci guarda come sorvegliato speciale-, non sarebbe stata una scelta opportuna. Eppoi, solo poco tempo fa a Letta è stata data la fiducia – anche da Berlusconi – sulle tematiche politiche che l’esecutivo si prefiggeva di portare avanti.  Se si voleva la crisi di governo quello era il momento opportuno per togliere il consenso a Letta ed ai suoi ministri. Per non parlare del voto di maggioranza avuto dal governo sulla legge di stabilità solo qualche giorno fa. Certo, l’uscita dell’ex presidente del consiglio dal Parlamento è cosa sconvolgente per lui ed i suoi seguaci, ma la ritorsione su Palazzo Chigi assume un sapore di vendetta personale.  Uno schiaffo per non aver seguito le direttive del Capo, anche se Alfano, fino in fondo, ha difeso Silvio Berlusconi con determinazione, invocando anche il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge Severino.
Un passaggio in Parlamento, dopo la spaccatura dei forzisti, era comunque opportuno e necessario, se non altro per attualizzare un programma di governo su cui pesavano posizioni confliggenti  su diverse questioni, tra cui lo sviluppo e il lavoro. Ed è giusto che la messa a punto del programma avvenga dopo l’elezione del nuovo segretario del Pd, ciò perché non avrebbe avuto senso “costruttivo” un confronto propositivo, vitale per il Paese, con una forza politica in piena campagna elettorale.
Passato il momento drammatico che il leader di Forza Italia sta vivendo, escluse le elezioni anticipate, ci dovrà essere per forza la riflessione disancorata dalla contingenza e dalla rabbia. E, allora, Silvio Berlusconi – che non ha mai avuto la vocazione di essere all’opposizione – dovrà fare i conti con una realtà diversa da come oggi viene ipotizzata da alcuni suoi intransigenti compagni di viaggio. Chi sostiene che Alfano scomparirà come Fini o sarà alla fine ininfluente nelle logiche di maggioranza come lo fu Casini, sbaglia di grosso. Stiamo parlando, tra l’altro, dei ministri  Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello, lo stesso Angelino Alfano,  scelti per quell’incarico proprio da Berlusconi. Probabilmente per il loro equilibrio, forse per la loro competenza, certo per la loro fedeltà, in una situazione drammatica per il Paese. Non va dimenticato che Giorgio Napolitano venne “pregato” – al di là di quello che sostiene Grillo –  di rimanere al suo posto perché, in quella circostanza politica, non c’erano altre soluzioni, come non c’erano alternative al “governo delle larghe intese”. Parliamo, quindi,  di personaggi non alleati, ma di parte, “carne e sangue” dell’ex Pdl.

Berlusconi, com’era sembrato all’inizio della diatriba, dovrà fare il padre nobile, scegliendo  nella nuova Forza Italia il suo plenipotenziario e poi preoccuparsi da  subito del patto elettorale che dovrà sancire con quello che fu il suo delfino di un tempo e con il Nuovo centro destra. Nessuno è eterno, anche il big Cavaliere da Arcore non lo è.  Potrà e, per certi versi, dovrà continuare a fare politica. Ma in un’ottica di raccordo, di mediazione costruttiva tra Alfano e Fitto, o chi deciderà di scegliere come responsabile di Forza Italia. Insomma, dovrà fare come nel Milan: Adriano Galliani e Barbara Berlusconi come amministratori delegati e lui, leader carismatico.
Gli accordi tra i partiti per l’attuazione del rimodulato programma di governo potranno  chiamarsi  “intese d’emergenza”, come dice Renzi, o “intese chiare”, secondo Alfano, oppure “intese miniaturizzate”, come le apostrofa Vendola, ma per governare l’Italia in questa fase drammatica di crisi economica, occupazionale e soprattutto di mancato sviluppo, ci vogliono “intese serie”, costruite con l’unico scopo di raggiungere l’obiettivo del “bene comune” del Paese.

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