19 Aprile 2024

 

Dopo appena sei mesi dalla quindicesima, eccoci approdare alla sedicesima edizione di questa rassegna, che rappresenta, per me, un momento di riflessione su quanto in questi anni abbiamo seminato ed anche raccolto. Inutile nominare i tanti nomi che sono emersi anche grazie al palco che abbiamo offerto alle centinaia di autori, autrici, registi, attori ed attrici, che ora appartengono alla realtà teatrale nazionale, vincitori di premi prestigiosi e partecipanti ai cartelloni dei principali teatri italiani, e non solo. Non è vanagloria, da parte mia che circa venti anni fa decise di lanciarsi in questa avventura e che ebbe la possibilità di realizzarla grazie innanzitutto alla collaborazione di Manuela Schiano Lomoriello ed il suo Teatro a Vapore, e dei suoi amici-collaboratori, Claudio Finelli, Luciano Correale e Roberta D’Agostino, approdati poi ognuno a progetti personali e relativi successi. Sono cinque anni che assumo sulle mie spalle il peso, a volte leggero, altre gravoso, di questo festival, che sono riuscito a far sopravvivere, almeno finora, anche allo tsunami pandemico. Non è vanagloria, dicevo, ma semplicemente una ricerca di motivazioni a non mollare, che in questo momento mi sono davvero difficili da trovare, per non dire impossibili, se ci si confronta con quella politica teatrale, che non riconosce nulla ad iniziative come la nostra. Resta comunque, anche per questa edizione, l’aver raccolto tante occasioni di collaborazione da chi ha dato fiducia alla manifestazione, a partire dalle 12 compagnie in concorso, ad Anna Sciotti e la gestione del Teatro Cortese che ci ospita per la seconda volta, a Beatrice Baino con Le Streghe del Palco ed I Mestieri del Palco,  a Clelia Le Bouf per il progetto artistico, alle dieci scuole di teatro che hanno dato la possibilità ai loro allievi di partecipare alla giuria, e per finire, ai professionisti che hanno seguito e seguiranno l’aspetto tecnico.

Non ci resta, a questo punto che dare l’appuntamento a tutti voi per il 2, 3 e 4 dicembre, per poi sperare che la prossima edizione, la diciassettesima, a dispetto della scaramanzia possa essere quella della grande svolta, mentre, dal prossimo mese d’aprile, riparte lo spin-off cinematografico dal titolo “LO SCHERMO DELLA FORMICA” che nasce grazie alla collaborazione con Salvatore Sannino e con il Cinema Teatro De Rosa di Frattamaggiore, che ospiterà la manifestazione di corti cinematografici.

Gianmarco Cesario

LA GIURIA – Quest’anno la giuria della manifestazione è composta da 11 allievi provenienti da 8 scuole di teatro attive nel territorio di Napoli e provincia, ognuna con una sua specifica identità, così da offrire una pluralità di punti di vista, dai quali potrà risultare un giudizio quanto più obiettivo.

Queste, in ordine alfabetico, le scuole che hanno aderito ed i relativi allievi in giuria:

BELLINI TEATRO FACTORYMario Ascione – Giuseppe Romano

ELABORATORIO TEATRO ELICANTROPOMarina Bellucci – Andrea Torre

GIULIARTRoberta Caputo – Andrea Grattagliano

GLOBAL EVENTIVincenzo Cernicchiaro

MIND THE GAPDaniele Piscopo

SCUOLA BENIAMINO MAGGIOMichele Nazianzeno

TALIARosada Esposito

THEATRE DE POCHE –  Davide Raffaello Lauro

 

GIOVEDÌ 2 DICEMBRE ore 20,30

BAR di  Roberta Frascati

con Roberta Frascati

foto di scena Davide Visca

regia Francesco Antonio Nappi

Anni ’60, è sera, le luci basse di un locale ci dicono che un altro giorno sta finendo. Al bancone una donna, non più giovane, non ancora anziana, che sistema le ultime cose prima di tirare giù la serranda e tornare a casa. La sorprende, neppure troppo, l’arrivo di avventori ritardatari. Non dice loro che sta chiudendo, anzi, li accoglie come vecchi amici venuti a farle compagnia. E come si fa con gli amici di sempre, prende a raccontare. Un fiume di parole, ricordi, consigli velati, speranze, sapientemente unite alla musica che viene fuori da una vecchia radio e all’odore del mare.

Bar è uno spettacolo che si incentra sul racconto e sul viaggio. Innanzitutto un viaggio nel tempo: negli anni ‘50-‘60 che vengono raccontati da una scenografia scarna ma ben inquadrata dal punto di vista dell’identità cronologica. Ma il viaggio è soprattutto un viaggio da raccontare e raccontarsi, al momento della sua conclusione, in un luogo preciso, un Bar,che si fa punto di partenza e di arrivo, crocevia di destini differenti, ciascuno con una sua storia e un suo vissuto. Quel piccolo punto di riferimento, lontano nel tempo e vicino nello spazio, non è che la nostra esigenza, acuita ed evidenziata dalla pandemia, di prenderci un attimo per raccontare e raccontarci, un istante per ascoltare, un momento per ricordare e apprezzare ciò che ci circonda, vivendo del dono incommensurabile e, così come abbiamo imparato, per niente scontato, d’avere un pubblico, una platea, un interlocutore da poter guardare negli occhi e nei cui occhi riconoscersi.

 

OCCHI SOSPESI di Francesca Esposito

con Lucio De Cicco | Livia Berte’ | Carmela Ioime

costumi Michaela Castaldi

locandina e immagine Gilda Castello

regia Francesca Esposito

SINOSSI

Iride, un vecchio cieco, ossessionato dalla propria identità perduta, viaggia in compagnia della Muta, Sospiria e dell’Altra, Ieratica. La ricerca tormentata dell’identità è rivolta costantemente all’esterno. Iride ha un’idea dell’identità distaccata da sé, come se fosse un accessorio. La sua ricerca è inautentica e vana. In un clima da circo da quattro soldi, i tre personaggi falliscono puntualmente e ripetono le loro azioni giorno dopo giorno, in un  frustrante carillon di sterili tentativi.

NOTE DI REGIA

La pièce si gioca in un’atmosfera sospesa di gusto beckettiano. La scena è grottesca. Il motore dell’azione è la ricerca di un’identità perduta. I personaggi sono dipinti a tinte forti, più simili a delle maschere che a dei caratteri con una dimensione psicologica. Allo stesso modo, tutta la tematica dell’identità perduta si inscrive in un clima bidimensionale, privo di spessore psicologico. Iride, il vecchio cieco, ha segnato i confini della propria identità con una linea di demarcazione netta, monolitica e immodificabile, fino a percepire la propria identità come un qualcosa di di estraneo, fino a pensarla come un qualcosa di altro, separato da sé. Allora la cerca come se fosse un oggetto smarrito, un mazzo di chiavi dimenticato un giorno per caso nella tasca di una

giacca che non si indossa più. La ricerca non avviene mai in maniera verticale, nel profondo, ma sempre in maniera orizzontale, all’esterno, nella società, nell’altro, nel mondo, nelle strutture di potere, rendendo impossibile sia il ritrovamento dell’identità perduta che la formulazione di una identità nuova.

Iride non si riconosce mai perché non può riconoscersi: il cieco non può vedere. Più che fisica, la sua è una cecità “immateriale”, esistenziale e spirituale. Non può identificarsi, non sa se è identico, non sa se è uguale a sé stesso. Gli è impossibile constatarlo con la vista e allo stesso tempo nessuna delle sue compagne di viaggio può dirglielo: Sospiria è Muta, per cui i canali di comunicazione tra i due sono fortemente limitati; Ieratica è distante dal mondo, non incarnata, non ancora diventata “qualcuno”. Ecco perché Iride porta sempre con sé un pupazzo con le proprie sembianze, il feticcio della sua identità abbandonata, una sorta di grottesco promemoria di qualcosa che non può più essere. Lo tira fuori dalla sua valigetta come prima cosa, prima di cominciare la sua ricerca.

La querelle iniziale tra Iride e Sospiria si richiama al piacere della gag, della performance fisica di stampo vagamente clownesco. L’ambientazione circense tende alla spettacolarizzazione della ricerca di identità, la rende concretamente lontana dall’intimità, lontana dall’oggetto ricercato. Una domanda, un’esigenza, quella di avere un’identità (una qualsiasi), che non trova mai soddisfazione e che si esaurisce nell’atto stesso di ricercare, come un in moto perpetuo circolare. Una quête che si ripete ogni giorno all’infinito senza mai cambiare i parametri di ricerca, nella vacua speranza che il risultato improvvisamente sia diverso. L’azione potrebbe ripetersi all’infinito: il finale è sospeso. Ultimo gesto di Iride è riporre nella valigia il suo pupazzo, insieme a centinaia di altri pupazzi identici in tutto e per tutto.

 

IL DISCORSO DEL PORCO di Sal Cammisa

liberamente ispirato a “La fattoria degli animali” di George Orwell

con Sal Cammisa

scene e costumi Enzo-Tammurrièllo Esposito

aiuto regia Antonella Esposito

regia Sal Cammisa | Daniela De Falco

SINOSSI

Il discorso del porco è un monologo liberamente ispirato a La fattoria degli animali di George Orwell. Napoleon il maiale – capo della fattoria di cui è divenuto con violenza l’assoluto padrone – si presenta alla “sua” gente, in una domenica solitamente dedicata all’assemblea generale, per comunicare loro che da quel momento in poi le sedute dedicate al confronto e al dibattito sarebbero state sospese. Ne approfitta per celebrare i successi della fattoria, per informarli sulle ultime novità con l’esterno, per ripetere i 7 comandamenti. Ma qualcosa turberà la sua rigida sicurezza da capo di governo: anche il potere, ha le sue, nascoste, debolezze.

NOTE DI REGIA

A volte dobbiamo guardare al passato per comprendere il presente. E a ispirarci per Il discorso del porco è stato un classico del Novecento quale La fattoria degli animali di George Orwell, romanzo breve che analizza, attraverso la satira, il percorso della rivoluzione russa e dell’instaurazione del regime sovietico. Lungi dal ricercare – forse inutili e infruttuose – analogie tra dimensioni storico-politiche imparagonabili, ci siamo interessati invece alla fenomenologia del politico. In particolar modo, il romanzo di Orwell ci ha dato spunti per approfondire da un lato la lingua della politica, o meglio dei politici, dall’altro il rapporto tra umanità/animalità. Nel personaggio orwelliano – un maiale vestito in giacca e cravatta che, goffo, pretende di imitare gli uomini nelle sue abitudini – si riverberano gli atteggiamenti dei nostri politicanti, di ieri e di oggi.

JINNIE di Jenny Brascio

con Jenny Brascio | Orazio Picella

regia Jenny Brascio | Orazio Picella

Jinnie è una donna moderna. Una donna che desidera una carriera, un lavoro una soddisfazione personale. Tuttavia è debole e ancora non lo sa. Jinnie vuole un amore integro, totale che si dedichi solo a lei e viceversa.

E qui che comincia la fregatura. Perché nella ricerca di quell’amore “ideale” si tuffa a capofitto in un progetto matrimoniale dimenticando se stessa. Si sposa e, moglie entusiasta, si dedica completamente al coniuge come una geisha. E’ allegra, canta, gioca, si diverte. Il marito però, dal canto suo, la tiene segregata come in una bottiglia di vetro dalla quale Jinnie osserva il mondo. E’ un uccellino in gabbia, una lucertola sotto ad un bicchiere.  Jinnie si sente ingannata, non ha avuto ciò che gli era stato promesso: una vita piena, dei figli, la felicità. Da qui i primi screzi, litigi, verbalmente violenti, che fanno impazzire Jinnie.  Oramai come un animale in cattività vaga nella sua casa-bottiglia cercando una via di uscita. Sbatte da un lato all’altro, perdendo il lume della ragione. Ce la farà a liberarsi? Ce la farà a “rompere” la sua bottiglia? Lo sketch vuole accendere un “lumino” su un tipo di violenza sulle donne di cui non si parla MAI. Non la violenza fisica, di cui visibilmente le donne portano evidenti segni corporei bensì quella psicologica, più subdola e meschina.

 

VENERDÌ 3 DICEMBRE ore 20,30

AUTOGRILL di Tiziana Beato

adattamento teatrale di Pier Paolo Palma da “Lettera 3”  dal libro “Tra tutti i miei bisogni ci sei tu”

con Selene D’Alessandro

aiuto regia, costumi e make up Georgia de’Conno

regia Pier Paolo Palma

Una lettera, ma sarebbe più corretto dire una confessione.

 In una notte scelta per non dormire, in un luogo scelto per non restare, una voce rimbomba tra porte automatiche e mattonelle.

È una voce profonda, è la voce di chi ha scelto di conoscere gli uomini indagandoli attraverso il sesso, accudendo tutte le loro paure.

È una donna che sceglie di spogliarsi per raccogliere nudità che il corpo non vede.

 È una voce di fredda concretezza e riflessioni che aspirano al lirico, in un vorticoso bathos di  sincerità.

Se è vero che la poesia si incontra in determinate periferie e in date ore, tra pensieri malinconici e grandi, dobbiamo ascoltare il racconto di una voce, troppo reale per accedere ad un bar sotto il mare.

 

L’AMORE PERFETTO di Valentina Varrella

con Livia Bertè | Ciro Scherma

regia Roberta Misticone

SINOSI

Una  donna sulla cinquantina, Iris, incontra il suo amante, Marcello, anche lui cinquantenne, nella nuova garçonniere di lui. Sono allegri, complici e appassionati. Lui è un ospite impeccabile: le ha inviato un vestito da sera a casa, quello stesso pomeriggio, affinché lo indossasse, le ha preparato dei regali e le ha ordinato la sua cena preferita, annaffiata da copioso champagne. Lei si sente accolta e protetta e può confidare a Marcello il proposito di intentare presto la causa di divorzio verso il marito, a sua volta fedifrago, che nel frattempo ha sorpreso con la giovane amante, seguendolo in strada, qualche giorno prima. Marcello la ascolta e la coccola, paziente, soprattutto quando lei ha un passeggero momento di nevrosi e si lascia andare al pianto, pensando alla sua vita andata in pezzi ed alla giovinezza perduta.

Quando la serata volge al termine, con calma e pacatezza Marcello chiede ad Iris di saldare i suoi servigi, e da qui si comprende che la relazione tra i due è solo un accordo basato sul danaro e che lui non fa altro che “accompagnarla”, prezzolato, in questa delicata fase della vita, così come fa con altre donne, senza preoccuparsi di celarlo. Iris sembra quasi non dare peso alla cosa. Nel mondo perfetto che ha creato, Marcello è un amante appassionato ed i loro incontri sono reali parentesi amorose, in una vita deprimente.

NOTE DI REGIA

La scena si svolge in un ambiente unico, minimalista, impreziosito da qualche dettaglio come il cristallo delle flûtes e le sofisticate cloche scaldavivande, che coprono i piatti della cena. Al centro della scena troneggia un divano moderno, attorno al quale i personaggi si muovono con naturalezza, senza enfasi né pathos. È una serata qualsiasi in una casa qualsiasi, e niente è accentuato più di tanto.

Essi hanno un look ricercato, di stile alto borghese, in cui nessun dettaglio è lasciato al caso. La luce durante la piece è quasi sempre piena e fissa, tranne in un paio di momenti in cui si stringe sui personaggi per sottolineare i maggiori momenti di intimità. Un romantico brano musicale apre e chiude la scena.

Il dialogo tra i due è interrotto solo per un momento da una voce fuori campo che riproduce una nota vocale ricevuta da Marcello sul cellulare. Per il resto non intervengono altri personaggi.

 

COMANDAMENTO OTTAVO di Salvatore Vitale

con Vincenzo Canoro, Francesco Raucci, Aniello Santonastaso, Alessandra Totaro, Tommaso Tuccillo, Filomena Zahora

regia Salvatore Vitale

SINOSSI

Passeggiando per i vicoli nel cuore di Forcella, capita di osservare delle targhe, che ai più possono apparire insignificanti, ma che in alcuni casi racchiudono una vera e propria storia di vita vissuta. E’ il caso di una targa che si può notare a via San Nicola dei Caserti, proprio nelle vicinanze di quella che indica il nome del vico, uno dei vicoli che incrociano la più nota via dei Tribunali. La targa recita la seguente espressione “Dio m’arrassa da invidia canina, da mali vicini et da bugia di uomo dabene” (che più o meno si traduce in “Dio mi salvi dall’invidia cieca, dai mali vicini e dalle bugie di un uomo perbene”), una scritta che risale a secoli fa, e che racconta le sventure di un povero calzolaio che, calunniato da un vicino di casa, fu condannato per un omicidio che non aveva mai commesso. La storia, risalente all’incirca alla metà del cinquecento, fu ricostruita da Giovanni Garruccio, un architetto e storico napoletano di inizio ottocento, e fu ripresa poi da Benedetto Croce, nel suo famoso libro “Storie e leggende napoletane”. La vicenda narra di uomo onesto di umili origini, che conduceva una vita tranquilla, dedicata principalmente alla sua attività artigianale. Egli era infatti un calzolaio, ed aveva una bottega in via San Nicolò dei Caserti, poi ribattezzata via San Nicola dei Caserti. L’artigiano aveva una gran passione per la musica, tant’è che si dilettava nel suonare il violino durante il tempo libero, ma tanto bastò per fornire ai vicini di casa il pretesto per alimentare lamentale nei suoi confronti. Le persone che vivevano nei pressi della sua abitazione erano per lo più benestanti, persone dedite maggiormente alla ricerca del benessere sempre maggiore, perdendo di vista proprio la semplicità delle piccole cose, e quindi della soddisfazione di godere la vita, al punto da provare addirittura invidia per la serenità con la quale l’uomo conduceva la sua umile vita. Tutto ciò comportava continui chiacchiericci avverso il calzolaio, il quale ne restava fortemente dispiaciuto, e maggiormente cercava riparo da tutto ciò nella musica. Un giorno però accadde qualcosa di veramente clamoroso, era ormai tanta l’invidia del vicinato avverso il calzolaio, che trovarono il modo di sbarazzarsi definitivamente di lui. L’occasione fu data dall’omicidio di un uomo che avvenne proprio nel vicoletto di San Nicola dei Caserti, e durante le indagini, un uomo distinto, testimoniò contro il povero calzolaio, indicandolo quale colpevole dell’assassinio. I magistrati, fortemente influenzati dal testimone, che era una delle personalità di spicco del quartiere, diedero credito alla testimonianza, confermando l’accusa al povero calzolaio, condannando poi l’accusato alla pena capitale. La notizia suscitò grande sconcerto nel vicinato, ma nulla ormai si poteva fare per scongiurare l’esecuzione stabilita. Prima di morire il calzolaio espresse un suo ultimo desiderio, ovvero quello di donare tutti i suoi averi all’ospedale della Pace, nosocomio attivo fino al 1975, a condizione che fosse stata incisa una targa che raccontasse la verità sulla falsa accusa.

NOTE DI REGIA

Prendendo spunto da una targa notata nei vicoli di Forcella, nasce l’idea di raccontarne la storia che l’ha generata, e di evidenziare uno dei dieci comandamenti cristiani, molto spesso dimenticati nella vita quotidiana. Il comandamento in questione è l’ottavo, ovvero “Non dire falsa testimonianza”, che proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri, in quanto il popolo di fede cristiana, ha il dovere di essere testimone di Dio, emblema della Verità. Chiunque che con parole e/o azioni determina una distorsione della verità, si macchia di infedeltà verso Dio. In particolare chiunque proferisce menzogna  assume un comportamento intenzionale atto ad ingannare, e tanto è più grave la menzogna, quanto maggiore è il danno che subiscono le persone che ne sono vittime. In definitiva, la menzogna ferisce il rapporto dell’uomo con la verità e con il suo prossimo, ledendo la relazione fondamentale con il Signore

 

LEUKÓS ZÓPOHS di Luigi Parlato

con Rossella Castellano | Luigi Parlato

regia Rossella Castellano

SINOSSI

Leukós Zóphos, sono flebili scie luminose nella più impenetrabile oscurità, fuochi fatui, corpusanti nel mare in tempesta, moscerini neri che ronzano intorno alla fiamma della candela. Leukós Zóphos è una storia che si ripete all’infinito. Leukós Zóphos sono due anime, quella di Mammà e Tummasino, marchiate e maledette, condannate a reincarnarsi un innumerevole numero di volte e a subire sempre lo stesso ineluttabile destino. Mammà è una donna che ha perso l’uso delle gambe ed ha visto più di quanto gli occhi umani possano sopportare, Tummasino ha perso la vista e gran parte dei ricordi. Nelle loro parole risuonano voci ed echi lontani di popoli del passato, mentre viaggiano, nei secoli dei secoli, alla continua ricerca di una spiegazione alla malvagità dell’animo umano, una risposta che forse non troveranno mai…

NOTE DI REGIA

Studiando la storia, non si può non avere la sensazione che, da quando si sono costituite le prime comunità umane, il comportamento dell’uomo è praticamente rimasto invariato. L’ossessione umana di possedere sempre di più ha causato una serie infinita di guerre, violenze, morte e dolore, un ciclo che si ripete, come si ripete la storia dei due protagonisti di Leukós Zóphos. E per rendere questa sensazione di tempo sospeso, di non luogo, di continuo ritorno, di eventi che si intrecciano e si ripetono, la scelta registica si è orientata verso un disegno luci essenziale e geometrico alternato a momenti di oscurità e semi-oscurità. La scenografia è composta da teli di stoffa bianca, sospesi nello spazio scenico, consunti e strappati in più parti, utilizzati come base per raffigurare i volti e i corpi stilizzati di popoli, vittime di invasioni armate, deportazioni, persecuzioni, bombardamenti. Una storia che purtroppo si ripete. La caratterizzazione dei due personaggi, Mammà e Tummasino, il loro appartenere contemporaneamente a diverse epoche e a nessuna, è stata sviluppata attraverso uno studio dei costumi di scena, realizzati dalla giustapposizione e dall’incastro di abiti e accessori appartenenti ad epoche diverse, con l’intento di fissare, come cicatrici sul corpo, i ricordi del passato.

 

SABATO 4 DICEMBRE

ore 18,00

ENRICU ‘U CURTU di Cristina Gennaro e Davide Migliorisi liberamente ispirato all’”Enrico V” di William Shakespeare

con Cristina Gennaro | Davide Migliorisi

canzoni composte da Cristina Gennaro e Davide Migliorisi

costumi Debora Pirruccio

audio-luci: Giorgio Baglieri

scenografia: Peppe Busacca

regia Davide Migliorisi

SINOSSI:

Due cuntisti cuntano e arricuntano le gesta del Re Inglese che conquistò la corona di Francia.  Divenuto re di Inghilterra, il giovane e acerbo Enrico si imbarca sullo Stretto della Manica, alla testa di un esercito di pochi soldati. Alla vigilia della campagna di Azincourt le parole eroiche pronunciate dal re Enrico incoraggiano l’esercito tanto da procurare la vittoria. Tema del dramma è l’orgoglio di essere pochi, felicemente pochi, per vincere. E pochi, felicemente pochi, sono Davide e Cristina sul palco, moltiplicati dalla fantasia del pubblico che vedrà interi eserciti.ù

NOTE DI REGIA:

Il dramma storico conta circa 35 personaggi, rendendolo “irrappresentabile” a giudizio degli studiosi, ma la mia scelta è stata quella di giocare (to play) su due livelli: sul piano della narrazione, del rac-conto, e sul piano del varietà come struttura che informa le azioni sceniche. I suggerimenti sulla messa in scena provengono dal Bardo stesso, che ha disseminato l’opera di vere e proprie lezioni sul teatro. La scelta dei simboli del varietà (canzoni, ballate) è valsa come recupero della vena comica che già caratterizza tutte le opere, anche le tragedie, di Shakespeare, che quando caratterizza i personaggi minori lo fa con quei canoni tipici da Commedia dell’Arte, come unica chiave di lettura della verità di una vicenda. L’impresa più soddisfacente è stata realizzare scene e personaggi, che pur completamente stravolti a mio piacimento nel numero, nel linguaggio, nel genere, rispecchiano il modo più autentico dello spirito teatrale inglese, e ci ha veramente resi fedeli a quest’opera. Quanto all’uso della lingua siciliana nella forma del cunto, come è congeniale a due attori siciliani, la modernità del progetto sta nell’aver adattato un testo antico inglese del 600 al modo di raccontare formulare, idiomatico e declamante, proprio della tradizione siciliana dell’800. Oltre al fatto che la modernità è insita nell’opera del Bardo: non si riesce a fare a meno di Shakespeare, è una miniera d’oro universale.

 

LA PAURA COMINCIA DAI PIEDI di Angela Villa

con Milena Pugliese

scene Peppe Ronga

aiuto regia Marco Fandelli

regia Milena Pugliese

“Sei stato tu, adesso lo dici, perché?”

Il brano si apre con una domanda, è una domanda che ogni donna vorrebbe rivolgere ai carnefici, a chi vive nell’ombra a chi considera ogni vita come un semplice oggetto da calpestare, distruggere, bruciare… Una donna racconta gli ultimi giorni della propria vita. È una testimone di giustizia e attraverso di lei parlano tutte le donne che si ribellano all’obbedienza nei confronti dei clan per amore dei figli. In alcune parti del brano si possono ritrovare alcuni eventi riferiti alla vita di Lea Garofalo. Simbolo, suo malgrado, della lotta di ogni donna nei confronti di tutte le mafie.le donne che si ribellano all’obbedienza nei confronti dei clan per amore dei figli.  Ispirato alle vicende di Lea Garofalo. Simbolo, suo malgrado, della lotta di ogni donna nei confronti di tutte le mafie.

 

OMBRE di Antonio Torino

con Antonio Torino

regia Angela Rosa D’Auria

NOTE DELL’AUTORE

Un uomo è come una città, ma se la città parlasse come un uomo? Se raccontasse delle sue strade, dei suoi monumenti, dei suoi parchi, delle finestre, delle case, dei luoghi più interni, poco frequentati, delle sue periferie buie e solitarie di cui essa stessa può aver timore? Ognuno di questi luoghi significano un ricordo, un sentimento, un’ora potente della vita, della nostra vita. Il pubblico/visitatore incontrerà l’unico abitante di questa città, sotto la luce della luna creatrice di ombre misteriose.

La drammaturgia inedita è stata scritta pensando a un racconto di Dino Buzzati, intitolato “La città personale”.

NOTE DI REGIA:

Il nucleo narrativo è costituito da una situazione concreta e al contempo surreale, in un crescendo emozionale che ribalta la prima percezione dei fatti. Potrebbe essere un viaggio nel rimpianto per le situazioni lasciate andare da giovani, per le strade non battute, per le donne non amate che si sono trasformate in fantasmi, nella nostalgia del passato di quando si poteva godere della vita, del tempo non trascorso. Per comprendere verità semplici c’è bisogno di un tuffo, talvolta metafisico, che ci consenta di leggere i segni della realtà e di ciò che siamo e lo sforzo onirico di poterlo condividere con gli altri uomini. In un oggi che aspira più che mai alla condivisione completa la drammaturgia di Torino ricuce il taglio generazionale ed emotivo.

 

SPECCHIO di Patrizia Di Martino

con Vincenzo Coppola

regia, scene e costumi Vittorio Passaro

SINOSSI

Nell’Italia fascista, un giovane ragazzo benestante è in conflitto con la sua sessualità e con tutta la famiglia di appartenenza mussoliniana. Si confronta con il suo corpo che sente estraneo, si osserva ogni giorno nudo allo specchio, si guarda si tocca, si nasconde il membro, non si piace. Ogni giorno si affaccerà allo specchio, si truccherà, si struccherà, la sensazione è che non si piacerà mai. Uno scontro con sé stesso e contro le idee social politiche educative impostagli da piccolo, che lo farà crescere, ribellare e conquistare la propria libertà vivendo eccessi, estremizzando tutta la propria vita e le proprie scelte fino alla fine.

NOTE DI REGIA

La solitudine di un uomo che continua a specchiarsi ed in ogni frammento vede un SE differente, una parte della sua anima, una parte dell’Io più nascosto. Si confida al pubblico, che in quel momento funge da specchio, cercando se stesso ma anche qualcosa in più, forse approvazione, forse risposte alla domanda “Chi sono?”. Aspettando una risposta, da chi? Da un ricordo del passato? Dal pubblico? Da sé stesso?

 

 

Costo biglietto unico per ogni serata : € 14,00

Prenotazioni presso il botteghino del Teatro Cortese al numero 3339978383

Telefonate dalle 16 alle 19,30

Messaggio Whatsapp dalle 10,00 fino a due ore prima della rappresentazione

Print Friendly, PDF & Email
Pubblicità
Verified by MonsterInsights