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RENZI COME SPEEDY GONZALES, MA ATTENZIONE ALLA CONFUSIONE

di Elia Fiorillo

“Lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato” insegnava ai suoi boy scout Baden Powell. Migliore, non “confuso”. E  in fatto di babele oggi il mondo politico nostrano non è secondo a nessuno. Per il momento la mossa dell’ex boy scout Matteo Renzi, di mandare in soffitta l’esecutivo di Enrico Letta, si può prestare alle interpretazioni più varie e maligne. Al di là delle buone intenzioni di dare la svolta decisiva al Paese perché cambi, non si comprende il metodo. Ma c’era proprio bisogno, dopo aver ripetuto in tutte le salse che sarebbe diventato l’inquilino  di Palazzo Chigi solo dopo  il voto popolare, fare marcia indietro a tutto gas speronando il presidente del Consiglio? Se nemmeno qualche illustre politologo italiano riesce a comprendere l’atto traumatico della cacciata di Letta, immaginarsi le Cancellerie, non solamente europee.

Il sindaco-segretario-presidente incaricato ha fatto della velocità d’azione la sua arma vincente. Per curare la flemmatica politica italiana si è trasformato in Speedy Gonzales, il topo del cartone animato – furbissimo e velocissimo -, sempre in competizione con il gatto Silvestro, che spesso le busca. Un’immagine che ha il suo appeal positivo, ma anche negativo. Nella “palude” italiana, quella che evoca Renzi, Speedy Gonzales  fa effetto: smuove, apre nuovi orizzonti. Fa sperare, insomma. Nell’oceano infinito della comunicazione globale, può dare un’idea di pressapochismo tutto italico. D’improvvisazione che potrebbe far cancellare l’immagine di affidabilità che il predecessore di Renzi ha provato – ed in parte è riuscito – a dare all’Italia. E non ci si illuda che certi applausi al nostro Paese per il cambio della guardia al vertice del governo vanno interpretati come consenso incondizionato all’operazione. In alcuni casi, la Gran Bretagna ad esempio, c’è più la speranza di alleanze di scopo, contro l’Europa germano-centrica, che non apprezzamento per le qualità politiche del nuovo venuto.
Le molle che hanno fatto scattare Speedy Renzi al grande salto sono diverse. Certo, la “palude” da bonificare, la marcia in più da inserire nella gestione dell’esecutivo per fare le riforme tanto attese dagli italiani. Ma anche la vetrina del semestre di presidenza italiana dell’Europa. La necessità di cancellare da subito una pedina, Letta, che comunque divideva con lui il palcoscenico mediatico, facendolo diventare un comprimario, non l’attore unico ed assoluto. Nella sub cultura del bipolarismo ci sono solo due figure di leader carismatici, capi dei rispettivi raggruppamenti, che si alternano alla guida dell’esecutivo. Punto.
I rischi che correva, Enrico Letta, li conosceva tutti quando non volle candidarsi alle primarie del Pd. In una situazione di governo certo non semplice, scendere in campo per combattere la battaglia per le primarie avrebbe potuto non aiutare il suo esecutivo. Confidava, inoltre, in un gioco di squadra  tra lui e il nuovo inquilino del Nazareno che, dal suo punto di vista, avrebbe rafforzato il governo ed il partito, fino alle prossime scadenze elettorali. Non avrebbe avuto nessuna difficoltà, il presidente del Consiglio, a cambiare squadra, a rimpolpare il programma, a fare i salti mortali, con quella maggioranza che si ritrovava. Ma a Renzi serviva un governo nuovo con lui a capo, anche se la maggioranza sarebbe stata la stessa. Questione d’interpretazione del bipolarismo dell’immagine.
Renzi come Berlusconi? Le storie di vita sono diverse. La cosa che li unisce è la sorprendente capacità di semplificazione – non sempre di risoluzione – dei problemi. L’immensa autostima che li porta al convincimento che se loro vogliono tutto è possibile, tutto può essere risolto. Eppoi, c’è l’attenzione maniacale all’immagine mediatica a base del loro far politica. E’ importante quello che il cittadino percepisce, tutto il resto è…niente. Per il momento il presidente del Consiglio incaricato e il capo di Forza Italia, pur se su opposte sponde, non si fanno la guerra guerreggiata. Sicuramente c’è più astio tra Angelino Alfano e il Cavaliere che tra quest’ultimo e  il sindaco di Firenze. Ognuno dei due ha bisogno di tempo per affrontare l’elettorato. Berlusconi deve riorganizzare Forza Italia dopo la perdita degli ex governativi;  Renzi il P.d., modellandolo a sua immagine e somiglianza. Il vero banco di prova, l’anteprima alle elezioni politiche saranno quelle europee. Lì si vedranno i possibili scenari futuri. In quella occasione si capirà chi potrà governare l’Italia, con il consenso elettorale, al prossimo giro.
A Enrico Letta resta l’amaro in bocca per come sono andate le cose. Che farà dopo l’esperienza governativa abortita per opera e virtù del “suo” partito? Per il momento non potrà far altro che stare a guardare. Non essendo uomo di rottura, non si metterà a capo di nessuna corrente o  pezzo scissionistico del suo partito. Fra qualche tempo, quando Giorgio Napolitano rassegnerà le dimissioni, potrebbe essere papabile per il Colle, non è detto che il presidente della Repubblica debba per forza avere più di settant’anni per essere eletto.
Al di là di tutto, l’augurio è che Matteo Renzi ce la faccia nei suoi obiettivi. C’è in gioco la credibilità dell’Italia, con tutto quello che ne consegue..

 

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