E’ pronto a tornare in scena, dopo l’esordio casertano, nella sua città, Napoli. Emanuele Di Simone sarà Arthur Rimbaud al Salotto Gloeden il 21 febbraio. Nudo, inerme, esposto alla vita proprio come fu il giovanissimo poeta di Charleville.

“Ho scritto il silenzio” é la storia di Rimbaud, un personaggio complesso, controverso. Cosa conoscevi di lui prima di interpretarlo? Ed ora che lo hai fatto, che rapporto hai con la sua figura?

Prima di interpretarlo, conoscevo Rimbaud solo come il poeta di fama, una figura leggendaria della letteratura. Però, lavorando su di lui, ho avuto modo di entrare in una relazione più profonda e personale con la sua storia. Lo spettacolo esplora una parte della sua vita molto intima e privata, e questo mi ha permesso di scoprire un lato più umano e vulnerabile del personaggio.

Lo spettacolo affronta, tra gli altri, il tema della solitudine. Rimbaud, dopo lo scandalo con Verlaine, ha scelto di abbandonare la scrittura e partire per l’Africa, senza mai conoscere la gloria letteraria, che arriverà solo post-mortem. E’ stato difficile entrare in questo “mood”? Tu ti sei mai sentito solo o incompreso? Entrare nel mondo di Rimbaud non è stato particolarmente difficile. Tutti, in fondo, abbiamo vissuto momenti di solitudine o difficoltà, magari legati al lavoro, alla sfera personale o emotiva. È bastato attingere a quelle esperienze personali per trovare una connessione autentica con il suo stato d’animo e calarmi nella sua storia.

Hai esordito a Caserta, in un piccolo teatro. Ora approdi a Napoli, in uno spazio ancora più intimo, Salotto Gloeden. E’ ancora più difficile recitare per un’ora, da solo e completamente nudo, col pubblico che si trova a un centimetro dal tuo corpo, dalla tua voce?

Ho esordito a Caserta in teatro, ma non ho mai avuto occasione di esibirmi nel salotto in questione. Certamente, recitare in uno spazio così intimo, con il pubblico così vicino, senza la barriera visiva creata dai fari teatrali, rappresenterebbe una sfida diversa. La vicinanza del pubblico, in questo contesto, amplifica tutto e può sicuramente mettere alla prova un attore.

Una domanda che può essere utile agli attori che si stanno approcciando ora al mestiere: Che tipo di lavoro tecnico e psicologico hai fatto per superare l’imbarazzo di un’esperienza del genere? La consigliesti ad attori che magari sono un disagio col proprio corpo? Puoi descriverci la sensazione che hai provato quando nei primi secondi, la prima volta, ti sei trovato, da solo, nudo davanti al pubblico? Percepivi il pubblico o sei riuscito ad astrarti? E’ cambiato il rapporto col tuo corpo dopo questa esperienza che di solito si vive in privato e che nel tuo caso è stata pubblica?

 Credo che chiunque si senta a disagio con il proprio corpo possa trarre beneficio da un’esperienza simile, proprio per imparare ad affrontare e superare quel disagio. Nel mio caso, la prima volta ci ho pensato un po’ di più, ma già dalla seconda ero così immerso nelle emozioni del personaggio e nella storia che ho smesso di percepire la nudità. Concentrarmi sul lavoro emotivo e narrativo mi ha aiutato a vivere quella condizione con naturalezza.

Checché se ne dica, uno spettacolo di nudo integrale (di cui Antonio Mocciola è uno dei capostipiti, ottenendo numerosi riconoscimenti) non lascia mai indifferenti: prima di approcciarti a questo tipo di allestimento, hai avuto perplessità? Da pubblico hai visto mai esperimenti del genere, e avresti mai pensato di esserne un giorno protagonista?Prima di un paio di anni fa, non avevo mai assistito a spettacoli di questo tipo. Ma penso che, quando è ben contestualizzato e funzionale alla narrazione, il nudo possa aggiungere qualcosa di unico alla storia. È un mezzo che, se usato con consapevolezza, può rendere il racconto più potente e incisivo.

 

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