Francesco Petrillo e il suo Lautréamont, nudo contro il mondo
A Napoli il debutto di “Mal d’Aurora” di Antonio Mocciola
E’ pronto a portare a Napoli, dopo il debutto di Caserta, il suo “Mal d’aurora”, scritto da Antonio Mocciola e diretto da Giuseppe Brandi: Francesco Petrillo, giovane attore cilentano, sarà Lautréamont, il padre del surrealismo, morto misconosciuto ad appena 24 anni, in una Parigi assediata dal colera e dai prussiani. Il 10 gennaio, a Salotto Gloeden, a due passi da Piazza Plebiscito, Petrillo reciterà completamente nudo, così come si sentiva – moralmente, davanti al mondo – il poeta di Montevideo.
“Mal d’aurora” evoca la paura della luce, e dunque della vita. Lautréamont era davvero così cupo? Come mai il suo nome è stato quasi cancellato dalle antologie letterarie, come se fosse ancora scomodo?
Lautréamont ha un’immagine spesso associata a un universo oscuro e inquietante. Il “Mal d’aurora” è un simbolo di un’esistenza disillusa, ma anche di una grande intensità poetica. Lui sfidava le convenzioni del suo tempo con una scrittura che mescolava il brutale e il sublime ,veniva spesso etichettato come “osceno”. Il suo nome è stato quasi messo da parte per un lungo periodo, forse perché la sua opera era considerata troppo distante dalla letteratura tradizionale. La sua visione cruda lo rendevano scomodo per la società borghese dell’epoca. Tuttavia, con il passare del tempo, la sua importanza è stata riconosciuta, soprattutto grazie al surrealismo e all’influenza che ha avuto su scrittori e artisti successivi, infatti è considerato il padre fondatore della corrente del surrealismo.
Lo spettacolo affronta, tra gli altri, il tema della solitudine. Lautréamont è morto solo, povero, in una stanza d’albergo, senza avere neppure assaggiato la fama. E’ stato difficile entrare in questo “mood”? Tu ti sei mai sentito solo o incompreso?
Entrare nel suo “mood” non è stato facile. La solitudine che accompagna molti artisti, la sensazione di non essere compresi o di vivere in un isolamento interiore, è qualcosa che non può essere espressa facilmente a parole. Ma quando ci si immerge nel suo mondo, si percepisce un tipo di solitudine esistenziale, quella di chi vive fuori dal tempo. Personalmente, ognuno di noi, nel corso della vita, può aver sperimentato momenti di solitudine o di incomprensione. Sono esperienze che ci definiscono, che ci spingono a crescere, ma anche a riflettere sul nostro posto nel mondo. È una condizione che molti artisti conoscono molto bene.
Hai esordito a Caserta, in un piccolo teatro. Adesso lo spettacolo approda a Napoli, in uno spazio ancora più intimo, Salotto Gloeden. Pensi che sarà ancora più difficile recitare per un’ora, da solo e completamente nudo, col pubblico che si trova a un centimetro dal tuo corpo, dalla tua voce?
Ogni spazio, ogni sala, porta con sé una sua energia. Il fatto che lo spettacolo si trasferisca in un ambiente ancora più intimo crea sicuramente una sfida maggiore, ma anche una connessione più profonda con il pubblico, e in spettacoli come questo è un elemento fondamentale. Recitare completamente nudo, sia fisicamente che emotivamente, implica un atto di vulnerabilità che, in un ambiente così ravvicinato, si amplifica. La difficoltà di mantenere quella distanza emotiva, quella purezza nella performance, aumenta, ma è anche questo che rende l’esperienza più intensa, per me come per il pubblico. Più lo spazio è piccolo, più l’energia condivisa diventa palpabile, e la connessione con lo spettatore è inevitabile e questo capita spesso nella maggior parte dei teatri off.
Una domanda che può essere utile agli attori che si stanno approcciando ora al mestiere: Che tipo di lavoro tecnico e psicologico hai fatto per superare l’imbarazzo di un’esperienza del genere? La consiglieresti ad attori che magari sono a disagio col proprio corpo? Puoi descriverci la sensazione che hai provato quando nei primi secondi, la prima volta, ti sei trovato, da solo, nudo davanti al pubblico? Percepivi il pubblico o sei riuscito ad astrarti? E’ cambiato il rapporto col tuo corpo dopo questa esperienza che di solito si vive in privato e che nel tuo caso é stata pubblica?
Non credo di avere ancora l’esperienza adatta per poter dispensare consigli ai giovani attori, ma, sicuramente superare l’imbarazzo in una situazione come questa è stato un lavoro sia tecnico che psicologico. Da un punto di vista tecnico, ho dovuto trovare un equilibrio tra concentrazione e rilassamento. Psicologicamente, è stato necessario fare un lavoro profondo su me stesso, per liberarmi dai preconcetti sul corpo e sul giudizio esterno. Quando mi sono trovato nudo davanti al pubblico per la prima volta, ho avuto un momento di totale vulnerabilità. Non riuscivo a percepire il pubblico inizialmente, ero troppo concentrato sul mantenere la mia performance autentica. Il mio corpo non è un oggetto di giudizio, ma uno strumento artistico, proprio come la voce o le parole.
Checché se ne dica, uno spettacolo di nudo integrale (di cui Antonio Mocciola è uno dei capostipiti, ottenendo numerosi riconoscimenti) non lascia mai indifferenti: prima di approcciarti a questo tipo di allestimento, hai avuto perplessità? Da pubblico hai visto mai esperimenti del genere, e avresti mai pensato di esserne un giorno protagonista?
Antonio Mocciola è riuscito a rendere il nudo non solo un atto fisico, ma un linguaggio simbolico, ed è stato davvero innovativo. Essere parte di un simile progetto richiede una forte consapevolezza e comprensione dell’arte che si sta creando. Personalmente non avevo mai assistito a performance così realistiche, ma mai avrei pensato di esserne protagonista un giorno. Ho potuto affrontare una scelta del genere solo dopo essermi sentito pronto a mettermi in gioco in modo totale.