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Politica, il “grande gioco” per non tornare al voto 

a cura di Elia Fiorillo –
Politica – Finiti i lampi, i tuoni, i fulmini e le saette dei partiti dopo i risultati elettorali del 4 marzo, il tempo “politico” si rasserena un po’. Niente bel tempo. Rimane una nebbiolina avvolgente che tutto ricopre e che non fa capire come andrà a finire, se ci sarà un governo per l’Italia o si tornerà più o meno presto al voto. Ogni tanto spunta un raggio di sole che fende la nebbia, si comprende qualche cosa, meglio s’intuisce, poi però tutto ritorna allo stato di partenza.

 

Nelle sue comparsate televisive Matteo Salvini ridice che è pronto a governare e la prima cosa che farà il suo esecutivo sarà la cancellazione della legge Fornero e sette accise sulla benzina. Il suo problema è trovare quei voti che gli mancano per arrivare a Palazzo Chigi. Cosa non semplice. Il Pd non sosterrà mai un governo con a capo il Matteo padano, poi diventato italiano. L’ex Cav. va ripetendo che l’alleanza politica con i democrat può essere una soluzione ma sa bene che finché il candidato premier sarà il capo della Lega l’ipotesi è solo fantasiosa. Forse lo fa con un pizzico di cattiveria pensando a quando con Renzi era pappa e ciccia. Certo Berlusconi è incavolato nero. Un risultato così penalizzante per Forza Italia non se lo aspettava. Oggi il suo pensiero fisso è di “non farsi mettere in un angolo” dal capo del Carroccio. E una giustificazione che trova è che i seggi ripartiti tra Camera e Senato, tra la sua Fi e la Lega, non mostrano il distacco netto registrato nelle  percentuali di consenso. Insomma, niente di trascendentale che non giustifica le alzate di testa del suo alleato-nemico.

 

Qualche risentimento l’ex presidente del Consiglio pare l’abbia avuto anche con il suo avvocato, ormai tuttofare, Nicolò Ghedini, per la composizione delle liste elettorali. Liste deboli che hanno consentito il sorpasso tanto sofferto. Sul capo del nuovo “cerchio magico” si abbattono gli strali degli amici di sempre, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, che non perdonano all’avv. di aver alzato una barriera invalicabile tra Berlusconi e il resto del mondo forzista. I fermenti nel partito ci sono. Vecchi risentimenti vengono fuori minando un terreno già di per sé franoso. Mai come in questo momento in Fi c’è bisogno di unità e di un coordinatore che rinserri le fila e che riorganizzi il partito.





Luigino o Giggino Di Maio per gli amici sta correndo una maratona telefonica senza fine. Per il momento è concentrato sui possibili candidati alle presidenze di Camera e Senato. Il giorno delle votazioni s’avvicina e, allora,  non ci si può far trovare impreparati. Pare si sia tornati all’epoca della D.C. quando al telefono si congetturavano, meglio contrattavano, liste di ministri, sottosegretari e via dicendo.  Luigino ha capito che se vuole “quagliare”  sulle presidenze ha bisogno di allargare la rosa dei posti da mettere a disposizione e allora tira in campo anche le vice-presidenze. Tutto ruota però sul futuro.
Nei democrat pare che il problema più rilevante sia di far scordare, al di fuori e al di dentro, il vecchio capo assoluto e il suo cerchio magico. Lo spettro però di Matteo Renzi resta ed è presentissimo in Parlamento con i “suoi” uomini, che rimarranno tali finché non capiranno che evoluzione avrà il Pd. Anche l’ex sindaco di Firenze sta a guardare l’evolversi della situazione. Un messaggio chiaro prima d’andar via da segretario l’ha mandato: “opposizione” e basta. Nessun “aiutino” ad alcuno, né alla coalizione di centro-destra, né ai 5Stelle.





Il dimissionario ministro delle Politiche Agricole e reggente del Pd, Maurizio Martina, per il momento prova a non scontentare né i renziani, né l’opposizione. Collaborazione e consigli da tutti per far fare alla sinistra italiana il “grande salto” fuori dalla palude. Per lui sarebbe una grande vittoria l’unificazione con gli scissionisti di Liberi e uguali. Prova anche a spiegare in un lontano passato le radici della perdita di così tanti voti. Il presente, ovvero Renzi, con la débâcle elettorale non c’entra niente. Anche la sua parola d’ordine, per il momento, è “opposizione” tout court.
Bisogna vedere che succederà nel prossimo futuro. Le carte alla fine le distribuirà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il “grande gioco” comincerà da quel momento. Qualcosa sarà necessario inventarsi per non ritornare subito al voto e, soprattutto, per non perdere la fiducia dell’Europa.

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