Venerdì 22 settembre e sabato 23 settembre ore 20:00 val teatro Instabile Napoli per la rassegna In-stabilestate va in scena Medea da Euripide e Seneca con Rosalba Di Girolamo, Gianni Sallustro, Nicla Tirozzi, Ciro Pellegrino e con Tommaso Sepe, Stefania Vella, Nancy Pia De Sinone, Roberta Porricelli, Noemi Iovino, Carlo Paolo Sepe, Lucia Saviano, Sara Ciccone, Domenico Nappo, Enrico Annunziata e con Giovanni Menna e Rachele Ambrosio per la regia di Gianmarco Cesario.
La forza del mito – dice Cesario nelle sue note di regia – è quella di rappresentare un archetipo, un modello, per gli uomini moderni. Medea, la donna che è diventata famosa per la serie di spietati omicidi perpetrati nel corso della sua vita, culminati con la strage dei suoi bambini, è, innanzitutto, una donna che soffre per la differenza con il mondo che la circonda, una differenza che agli occhi degli altri diventa una diversità. Innanzitutto, in una società di eroi, è donna, inoltre ha il dono della conoscenza, così come lo stesso Creonte le riconosce, e, infine, una straniera. Dal V secolo a.C. ad oggi la diffidenza nei confronti di donne intellettuali e straniere non è cambiata, si ride di loro, del loro non essere inquadrate in modelli femminili più accomodanti, rassicuranti, esteticamente e intellettualmente. La Medea infanticida è un’invenzione teatrale di Euripide, reiterata da quasi tutti gli altri autori, ad eccezione della scrittrice tedesca Christa Wolf, la quale diede ai cittadini corinzi la responsabilità dell’orrendo delitto, architettato proprio per incolpare lei, la “diversa”. Nell’affrontare la mia regia ho, tuttavia, preferito lasciare a lei la colpa del gesto, rifacendomi più al finale di Seneca che a quello di Euripide, perché l’orrore di quanto compie è comunque una conseguenza di un processo di emarginazione e ghettizzazione al quale lei non sa rispondere in maniera diversa, liberando definitivamente i figli dal suo stesso destino di reietta, e, sicuramente anche per colpire nel modo più atroce Giasone, fino a quel momento inconsapevole del dolore vero che ha causato. Un gesto certo non condivisibile, ma che sottolinea tutta l’umanità di questo personaggio, una femmina che è immersa in un mondo maschilista, che le ricorda continuamente, nelle figure maschili del coro, mutuato dalla versione senechiana, quanto la sua persona sia inadeguata al cospetto della società che la circonda, ma che trova solidarietà nelle figura femminili del coro (appartenenti alla versione di Euripide) che invece sembrano riconoscersi, silenziosamente in quel soffrire che loro non denunciano, perché totalmente assuefatte dalla legge degli uomini. Da qui la scelta di avvicinare Corinto ad una Sicilia senza tempo, in cui queste figure, intrise di sole sabbia e salsedine, non riescono a lenire le ferite delle loro anime, e, tra suoni ancestrali e il canto di brani popolari del repertorio di Rosa Balistreri, artista siciliana che sulla propria pelle scontò la colpa dell’essere donna in una terra di maschi, affrontano il dolore senza tempo delle loro progenitrici.
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