A cura di Elia Fiorillo

“Credibilità” è il termine che il mondo della politica ambisce di più a conquistare. Ma una cosa è volere, un’altra è ottenere. Anzi, sembra proprio che la politica si trovi immersa in una sorta di schizofrenia: da una parte tutti a predicar  bene sulla trasparenza e via dicendo, soprattutto mediaticamente, dall’altra si continua nella mai abbandonata pratica dall’affarismo sotto banco. Perché gli appalti pilotati, le mazzette, i favori portano voti e potere senza troppa fatica.

Mai, però,  fare di tutt’erba un fascio. C’è tanta gente che fa politica per dovere sociale, per passione civile. Donne ed uomini  che s’impegnano giorno dopo giorno per far salire quell’indice di credibilità della politica che sembra destinato a piombar sempre più giù, ineluttabilmente. I fatti di cronaca di questi giorni stanno a testimoniare come certe pratiche non passano mai di moda. E il pudore, in situazioni come quella che ha coinvolto l’Expo di Milano, vorrebbe che si evitassero prese di posizioni elettoralistiche autoreferenziali, destinate non a portare acqua (leggi voti) a questo o a quel partito, ma ad aumentare la diffidenza dell’elettore verso tutta la cosiddetta partitocrazia. Dagli ultimi sondaggi emerge che  “l’area grigia”  – costituita dall’astensione e  dall’indecisione  – rappresenta quasi due elettori su cinque (39, 1%).   

Un fatto è significativo, purtroppo. A distanza di ventidue anni dall’inizio di Mani Pulite, quando venne arrestato per mazzette Mario Chiesa, ritenuto dall’allora segretario del Psi Bettino Craxi “un mariuolo” isolato, certi nomi indagati allora  ritornano in un copione già visto. Segno che “tutto è cambiato” apparentemente ma i fatti dicono che “poco è cambiato” dall’ora.

Se alle vicende di Milano si aggiungono gli ultimi fatti di cronaca, di un ex ministro degli Interni arrestato, accusato di favoreggiamento per la latitanza di un ex politico pregiudicato, e di un importante ex senatore, attualmente oltre i confini italiani, condannato in via definitiva a sette anni di carcere per “concorso esterno in associazione mafiosa”, il quadro è spaventevole.

Sulla vicenda della corruttela milanese il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ipotizzato norme più severe per gli appalti, anticipando la costituzione di una take forze sull’Expo 2015, con alla guida il magistrato Raffaele Cantone presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha toccato la questione Expo sostenendo che: “Il superamento di fenomeni di corruzione, che non sono esclusivi del nostro Paese, sono legati molto alla creazione di un impegno e di regole comuni in Europa”.  “Mi auguro – ha dichiarato tra l’altro il capo dello Stato – che l’evoluzione dei partiti politici vada verso la creazione di partiti sempre più europei perché più i partiti diventano europei più possono superare le strettoie e le degenerazioni della politica nazionale”. Insomma, bisogna cambiare. Il problema è come i partiti politici si possano evolvere in positivo.

Discuto dell’argomento del “cambiamento nella credibilità” delle formazioni politiche  con due amici di vecchia data. Uno è stato dirigente del Pci-Pds, eppoi presidente della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori). L’altro è un  imprenditore, presidente di una delle più importanti industrie olearie italiane. Con l’ex presidente della CIA, Massimo Pacetti,  ricordiamo i tempi quando ancora nei partiti c’erano i padri fondatori della Repubblica. Quelli che sapevano bene cosa volesse dire sacrificio (ovvero carcere, confino, pena di morte) per portare avanti le proprie idee. Entrambi, anche se su sponde opposte, Massimo ed io, abbiamo conosciuto “la formazione”  prima di qualsiasi impegno nell’attività politica o sindacale. Ambedue riteniamo che l’esperienza è essenziale se vuoi veramente cambiare. Insomma, formazione e tirocinio sul campo prima di entrare nell’agone politico. Per Zefferino Monini, presidente della Monini s.p.a., consigliere comunale di una lista civica nel Comune di Spoleto, “l’esempio è un che forma più di tanti discorsi e comizi”. C’è bisogno, secondo lui, di dare l’esempio, impegnandosi dal basso, dal proprio quartiere, dalla propria città per cambiare. “Si pensi – afferma con calore – al grande salto di qualità  che potrebbe avvenire nella gestione della res pubblica se una schiera di soggetti, assolutamente disinteressati,  che hanno acquisito professionalità in diversi campi, scendessero  in politica anche per propagare la cultura dell’impegno civico. Solo così l’Italia potrà essere rilanciata”.   Ragionamenti semplicistici? Forse. Il problema è che se si vuole il cambiamento,  non c’è bisogno di rivoluzioni verticistiche, c’è bisogno di un gran lavoro dal territorio, puntando, tra l’altro, sulla formazione.

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