“Libertà a caro prezzo” di Giovanni Capurso – recensione di Nunzia Gionfriddo

Di Nunzia Gionfriddo
L’interessante libro di Giovanni Capurso, “Libertà a caro prezzo” con il sottotitolo “Gioacchino Gesmundo e le Fosse Ardeatine”, Erf Edizioni, pur affrontando un tema ben conosciuto, tuttavia ci aiuta a far luce su uno dei martiri della ferocia nazista di cui poco è rimasto nella memoria e nei documenti. Ma a volte il poco basta se il ricercatore è abile, come il nostro autore, a pescare tra le lettere, i saggi sul terribile avvenimento, le testimonianze indirette, i ritratti che di Gioacchino danno conoscenti e allievi. Nascono così la storia che si intreccia con l’immaginazione, il dialogo politico concepito con la fantasia, le parole insultanti dei carcerieri e il viso pieno di odio e rabbia del carnefice.
Capurso ci fa sognare con il suo personaggio, con i suoi sogni, ci riempie di ammirazione per le sue conoscenze filosofiche, ci fa amare i suoi maestri.
Non sono gli avvenimenti che ci tengono legati alla storia. La conosciamo. E nemmeno alla Storia di cui sappiamo molto. L’uomo, il martire, l’intellettuale impegnato nel sociale ma poco prudente, è lui che ci prende da subito.
Chi è vissuto e cresciuto nel Meridione d’Italia o anche chi ha studiato le sue vicende durante il cosiddetto “secolo breve” conosce lo stato di povertà del popolo meridionale prima, durante e dopo le due “grandi guerre”. Dico due grandi guerre perché sono state entrambe un massacro di uomini al fronte, la prima, e di popolazioni intere, la seconda. Le dolorose parole del nostro autore che descrivono la Storia ce lo fanno intuire con chiarezza. Ma non da subito.
Torniamo a Gioacchino. Studioso fin da bambino ha la fortuna di avere bravi maestri di vita e di alti ideali. Per noi lettori è avvincente ritrovare personaggi amati e luce di sapere. Qualsiasi sia il nostro credo culturale e politico Nomi come Gentile, Croce e Mazzini ci commuovono. Per non parlare di uomini come Salvemini, prima, e Ingrao, Amendola e Guttuso, dopo.
La sua prima esperienza a Formia, inizialmente poco piacevole, creò nel suo animo una profonda malinconia. Il liceo però, dove insegnò, lo rasserenò, per l’ambiente accogliente. Il giovane professore aveva bisogno di tranquillità e la trovò. Già allora le sue lezioni agli studenti cominciarono a essere anticonformiste, senza preoccuparsi molto dei voleri del Regime che lo teneva d’occhio. Un tal uomo non poteva non dolersi della frustrazione “per la sua libertà cinta e umiliata”.
Bisogna sempre tener conto che Giovanni Capurso ha ricostruito i fatti e in particolare la vita di Gioacchino con pochissimi documenti diretti e con molti indiretti cercando con grande abilità e senso critico il materiale che gli sarebbe servito per tessere la tela del racconto e la personalità dell’infelice protagonista e martire. Grazie a questa non comune dote di estrapolare dal poco l’intero emerge chiara e senza retorica la figura della vittima del Nazismo poco conosciuto fino ad ora. Una coraggiosa figura di uomo moralmente sano, onesto, amante della libertà di pensiero de iure e de facto. Capurso tratteggia la figura di un ottimo scolaro, privilegiato per i bravi maestri che lo hanno plasmato. Da quando diventa professore ci innamoriamo subito della sua personalità chiara di intellettuale libero e sincero. In anni come quelli del Fascismo non era facile radunare studenti antifascisti nel proprio appartamento, raccogliere giornali non graditi al Regime, libri considerati sovversivi.
Incoscienza o coraggio? Sarà il lettore libero e consapevole a deciderlo.
L’esperienza romana fornì al professore un palcoscenico ricco e variegato di conoscenze e stimoli filosofici.
Gli anni del Magistero gli regalarono maestri che le menti di molte generazioni, come Lombardo Radice, Pietro Silva, ambedue antifascisti non dimenticheranno facilmente.
La penna del nostro autore non si lascia quasi mai prendere dalla commozione. Il suo racconto è asciutto come deve essere quello del cronista di un’epoca che non ha bisogno della pietas né delle lacrime, ma della indignazione e rabbia. Lo stile cronistico, volutamente cronistico, credo, suscita nei lettori il desiderio che tali orrendi avvenimenti e le vittime uccise barbaramente da uomini indegni di tale nome non rimangano sepolti nelle Fosse Ardeatine e nella memoria dei loro figli e nipoti finché il sole risplenderà e scalderà la nostra travagliata terra.