“I napoletani dovrebbero fare come me: cercare di proteggersi, perché siamo in via d’estinzione, come i panda.”
“Una cosa che non mi piace di Napoli è che a volte fa il verso a se stessa, molto condiscendente ed a volte recita la parte di quel disincanto che porta all’inattività. Così Raiz (Almamegretta) ospite a Radio Club 91. “Sono cresciuto a Milano e questo mi ha reso ancora più fiero di essere partenopeo, perché li non puoi permetterti di rilassarti nemmeno un secondo. Quando sono tornato nella mia città ho avuto subito voglia di conoscerla, di esplorarla, senza essere percepito finalmente come uno straniero perché parlo in napoletano. Io vivo a Roma che è peggio di Napoli dal punto di vista del traffico, è una città che è capace di sequestrarti. Io sono stato a Londra, per parecchio tempo, ed anche a Parigi, ma non succede mai di restare imbottigliati nel traffico. Bisognerebbe resettare la mentalità dell’italiano che basa la propria vita sulla macchina come mezzo di trasporto unico, per noi è quasi irrinunciabile”.
E sul Calcio Napoli: “Champions? Dovremmo chiederlo a Benitez, ma senza polemiche. Sono un gran sostenitore del tecnico spagnolo ma le sue scelte a volte non le capisco”.
Sul rapporto con Dio: “Credo in Dio, quello cristiano, ma penso che lui ci abbia concesso la possibilità di scegliere e di collaborare con lui. In fondo penso che le falle che noi attribuiamo a lui siano le nostre, noi siamo mandati sulla terra per migliorare il mondo e se non ci riusciamo è colpa nostra”.
“Il nuovo album (Dago Red, ndr) è una raccolta di racconti di John Fante, italoamericano nato a Denver, sempre stato a metà tra l’America e l’Italia. Io e Fausto Mesolella siamo rimasti affascinati dalla sua doppia identità, ed è un po’ come questo disco che ha diverse identità. Noi partiamo dalla nostra terra, Napoli, ma arriviamo all’identità della musica che abbiamo ascoltato nella nostra vita. Abbiamo cercato di far combaciare la musica napoletana con quella inglese e cerchiamo di far andare d’accordo due cose che sembrano diametralmente opposte”.
La musica come modo per rimettere insieme l’antico con il nuovo?
“Le nuove generazioni sono molto coscienti del recente passato, tranne alcuni casi in cui si staccano volontariamente. Anche i cantanti classici napoletani, e quelli dei matrimoni, sono un patrimonio della cultura napoletana da non disperdere. Noi e loro siamo due facce della stessa medaglia, io ascolto un po’ tutto: da Franco Ricciardi ai Co’ Sang, ma anche qualche album molto più vecchio. Un tipo di musica napoletana che non mi piace è quella troppo affettata, ed il napoletano che ha vergogna di se stesso. Siamo figli di una cultura, quella italiana, che spinge i napoletani a snaturarsi come se gli dicesse di staccarsi dalle sue origini. Lungi da me però affiancarmi alle idee borboniche perché di questa Italia non cambierei nulla. Molti popoli sono stati cacciati dai loro paesi, ma al popolo napoletano invece sembra che quasi la propria terra sia stata strappata da sotto ai piedi. E’ un dato di fatto che la nostra lingua sia divenuta un dialetto e che il nostro modo di fare venga visto quasi come ridicolo. Io sono cresciuto in provincia di Milano e non ricordo mai in una pubblicità, per esempio, un bambino con l’accento napoletano, quando ciò accadeva era perché veniva rappresentato come un ciccione che faceva ridere. Il napoletano però è anche serio, e la nostra cultura lo dimostra, penso che dovremmo essere difesi proprio come gruppo culturale. I napoletani dovrebbero fare come me: cercare di proteggersi, perché siamo in via d’estinzione, come i panda. Il fatto di scrivere, parlare e pensare in lingua napoletana sia una cosa molto bella ma senza ricadere in cose come l’orgoglio. Penso semplicemente che si debba mantenere le proprie differenze ma in modo che dialoghino tra di loro, un elogio della differenza. Io non mi sarei mai aspettato nel 2014 di vedere guerre di religione. Il mondo è bello perché è vario, ci si arricchisce entrando in contatto con chi è diverso”.
“Ogni riconoscimento è importante. La targa Tenco ancor di più perché è il riconoscimento di duecento giornalisti che hanno ascoltato attentamente diversi lavori e ci hanno tributato quest’attenzione. Questo disco è stato realizzato nello studio di Fausto Mesolella a Macerata, in mezzo alla campagna, lontano dal caos cittadino. Una cosa che non mi piace di Napoli è che a volte fa il verso a se stessa, molto condiscendente ed a volte recita la parte di quel disincanto che porta all’inattività. Come se il napoletano avesse visto tutto nella vita e non gli servissero più esperienze nuove. Da una parte fa ridere questa cosa, ma altre volte ti condanna, invece la provincia da questo punto di vista ha un’energia fantastica. Il fatto di aver costruito insieme questo lavoro in campagna è qualcosa che ci ha aiutati”.
Musica napoletana: “Con il rapper Gianfranco Lucariello siamo lavorando ad un disco che oserei definire strano. Questa commistione tra musica napoletana ed hip-hop napoletano è qualcosa di molto suggestivo ed interessante, per questo continuerò fare lavori del genere”. E su Franco Ricciardi : “è una persona fantastica, canta proprio col cuore. Esploro un modo diverso di cantare, un modo che va al di là delle contaminazioni mediterranee. Sono cresciuto a Milano e questo mi ha reso ancora più fiero di essere partenopeo, perché li non puoi permetterti di rilassarti nemmeno un secondo. Quando sono tornato nella mia città ho avuto subito voglia di conoscerla, di esplorarla, senza essere percepito finalmente come uno straniero perché parlo in napoletano. Certe cose le ho vissute grazie a mia nonna e mia madre, ma una cosa è sentirle una cosa è vederle, e quando le ho viste mi sono entrate nel cuore. Mia nonna e mia madre mi hanno dato l’impressione di essere due persone molto acculturate, perché calate completamente nella realtà napoletana, anche se non istruite. Mi hanno lasciato la loro etica culturale, in una generazione un salto incredibile: tra loro alcuna differenza ma tra la mia generazione e la loro c’è un abisso”.
Francesca Cicatelli
Radio Club 91
392 9225216
www.club91.it
fm 95.2
“Champions? Dovremmo chiederlo a Benitez, ma senza polemiche. Sono un gran sostenitore del tecnico spagnolo ma le sue scelte a volte non le capisco”. Così Raiz (Almamegretta) ospite a Radio Club 91.
“I napoletani dovrebbero fare come me: cercare di proteggersi, perché siamo in via d’estinzione, come i panda. Una cosa che non mi piace di Napoli è che a volte fa il verso a se stessa, molto condiscendente ed a volte recita la parte di quel disincanto che porta all’inattività. Così Raiz (Almamegretta) ospite a Radio Club 91. “Sono cresciuto a Milano e questo mi ha reso ancora più fiero di essere partenopeo, perché li non puoi permetterti di rilassarti nemmeno un secondo. Quando sono tornato nella mia città ho avuto subito voglia di conoscerla, di esplorarla, senza essere percepito finalmente come uno straniero perché parlo in napoletano. Io vivo a Roma che è peggio di Napoli dal punto di vista del traffico, è una città che è capace di sequestrarti. Io sono stato a Londra, per parecchio tempo, ed anche a Parigi, ma non succede mai di restare imbottigliati nel traffico. Bisognerebbe resettare la mentalità dell’italiano che basa la propria vita sulla macchina come mezzo di trasporto unico, per noi è quasi irrinunciabile”.
Sul rapporto con Dio: “Credo in Dio, quello cristiano, ma penso che lui ci abbia concesso la possibilità di scegliere e di collaborare con lui. In fondo penso che le falle che noi attribuiamo a lui siano le nostre, noi siamo mandati sulla terra per migliorare il mondo e se non ci riusciamo è colpa nostra”.
“Il nuovo album (Dago Red, ndr) è una raccolta di racconti di John Fante, italoamericano nato a Denver, sempre stato a metà tra l’America e l’Italia. Io e Fausto Mesolella siamo rimasti affascinati dalla sua doppia identità, ed è un po’ come questo disco che ha diverse identità. Noi partiamo dalla nostra terra, Napoli, ma arriviamo all’identità della musica che abbiamo ascoltato nella nostra vita. Abbiamo cercato di far combaciare la musica napoletana con quella inglese e cerchiamo di far andare d’accordo due cose che sembrano diametralmente opposte”.
La musica come modo per rimettere insieme l’antico con il nuovo?
“Le nuove generazioni sono molto coscienti del recente passato, tranne alcuni casi in cui si staccano volontariamente. Anche i cantanti classici napoletani, e quelli dei matrimoni, sono un patrimonio della cultura napoletana da non disperdere. Noi e loro siamo due facce della stessa medaglia, io ascolto un po’ tutto: da Franco Ricciardi ai Co’ Sang, ma anche qualche album molto più vecchio. Un tipo di musica napoletana che non mi piace è quella troppo affettata, ed il napoletano che ha vergogna di se stesso. Siamo figli di una cultura, quella italiana, che spinge i napoletani a snaturarsi come se gli dicesse di staccarsi dalle sue origini. Lungi da me però affiancarmi alle idee borboniche perché di questa Italia non cambierei nulla. Molti popoli sono stati cacciati dai loro paesi, ma al popolo napoletano invece sembra che quasi la propria terra sia stata strappata da sotto ai piedi. E’ un dato di fatto che la nostra lingua sia divenuta un dialetto e che il nostro modo di fare venga visto quasi come ridicolo. Io sono cresciuto in provincia di Milano e non ricordo mai in una pubblicità, per esempio, un bambino con l’accento napoletano, quando ciò accadeva era perché veniva rappresentato come un ciccione che faceva ridere. Il napoletano però è anche serio, e la nostra cultura lo dimostra, penso che dovremmo essere difesi proprio come gruppo culturale. I napoletani dovrebbero fare come me: cercare di proteggersi, perché siamo in via d’estinzione, come i panda. Il fatto di scrivere, parlare e pensare in lingua napoletana sia una cosa molto bella ma senza ricadere in cose come l’orgoglio. Penso semplicemente che si debba mantenere le proprie differenze ma in modo che dialoghino tra di loro, un elogio della differenza. Io non mi sarei mai aspettato nel 2014 di vedere guerre di religione. Il mondo è bello perché è vario, ci si arricchisce entrando in contatto con chi è diverso”.
“Ogni riconoscimento è importante. La targa Tenco ancor di più perché è il riconoscimento di duecento giornalisti che hanno ascoltato attentamente diversi lavori e ci hanno tributato quest’attenzione. Questo disco è stato realizzato nello studio di Fausto Mesolella a Macerata, in mezzo alla campagna, lontano dal caos cittadino. Una cosa che non mi piace di Napoli è che a volte fa il verso a se stessa, molto condiscendente ed a volte recita la parte di quel disincanto che porta all’inattività. Come se il napoletano avesse visto tutto nella vita e non gli servissero più esperienze nuove. Da una parte fa ridere questa cosa, ma altre volte ti condanna, invece la provincia da questo punto di vista ha un’energia fantastica. Il fatto di aver costruito insieme questo lavoro in campagna è qualcosa che ci ha aiutati”.
Musica napoletana: “Con il rapper Gianfranco Lucariello siamo lavorando ad un disco che oserei definire strano. Questa commistione tra musica napoletana ed hip-hop napoletano è qualcosa di molto suggestivo ed interessante, per questo continuerò fare lavori del genere”. E su Franco Ricciardi : “è una persona fantastica, canta proprio col cuore. Esploro un modo diverso di cantare, un modo che va al di là delle contaminazioni mediterranee. Sono cresciuto a Milano e questo mi ha reso ancora più fiero di essere partenopeo, perché li non puoi permetterti di rilassarti nemmeno un secondo. Quando sono tornato nella mia città ho avuto subito voglia di conoscerla, di esplorarla, senza essere percepito finalmente come uno straniero perché parlo in napoletano. Certe cose le ho vissute grazie a mia nonna e mia madre, ma una cosa è sentirle una cosa è vederle, e quando le ho viste mi sono entrate nel cuore. Mia nonna e mia madre mi hanno dato l’impressione di essere due persone molto acculturate, perché calate completamente nella realtà napoletana, anche se non istruite. Mi hanno lasciato la loro etica culturale, in una generazione un salto incredibile: tra loro alcuna differenza ma tra la mia generazione e la loro c’è un abisso”.
Francesca Cicatelli
Radio Club 91
392 9225216
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fm 95.2
“I napoletani dovrebbero fare come me: cercare di proteggersi, perché siamo in via d’estinzione, come i panda. Una cosa che non mi piace di Napoli è che a volte fa il verso a se stessa, molto condiscendente ed a volte recita la parte di quel disincanto che porta all’inattività. Così Raiz (Almamegretta) ospite a Radio Club 91. “Sono cresciuto a Milano e questo mi ha reso ancora più fiero di essere partenopeo, perché li non puoi permetterti di rilassarti nemmeno un secondo. Quando sono tornato nella mia città ho avuto subito voglia di conoscerla, di esplorarla, senza essere percepito finalmente come uno straniero perché parlo in napoletano. Io vivo a Roma che è peggio di Napoli dal punto di vista del traffico, è una città che è capace di sequestrarti. Io sono stato a Londra, per parecchio tempo, ed anche a Parigi, ma non succede mai di restare imbottigliati nel traffico. Bisognerebbe resettare la mentalità dell’italiano che basa la propria vita sulla macchina come mezzo di trasporto unico, per noi è quasi irrinunciabile”.
E sul Calcio Napoli: “Champions? Dovremmo chiederlo a Benitez, ma senza polemiche. Sono un gran sostenitore del tecnico spagnolo ma le sue scelte a volte non le capisco”.
Sul rapporto con Dio: “Credo in Dio, quello cristiano, ma penso che lui ci abbia concesso la possibilità di scegliere e di collaborare con lui. In fondo penso che le falle che noi attribuiamo a lui siano le nostre, noi siamo mandati sulla terra per migliorare il mondo e se non ci riusciamo è colpa nostra”.
“Il nuovo album (Dago Red, ndr) è una raccolta di racconti di John Fante, italoamericano nato a Denver, sempre stato a metà tra l’America e l’Italia. Io e Fausto Mesolella siamo rimasti affascinati dalla sua doppia identità, ed è un po’ come questo disco che ha diverse identità. Noi partiamo dalla nostra terra, Napoli, ma arriviamo all’identità della musica che abbiamo ascoltato nella nostra vita. Abbiamo cercato di far combaciare la musica napoletana con quella inglese e cerchiamo di far andare d’accordo due cose che sembrano diametralmente opposte”.
La musica come modo per rimettere insieme l’antico con il nuovo?
“Le nuove generazioni sono molto coscienti del recente passato, tranne alcuni casi in cui si staccano volontariamente. Anche i cantanti classici napoletani, e quelli dei matrimoni, sono un patrimonio della cultura napoletana da non disperdere. Noi e loro siamo due facce della stessa medaglia, io ascolto un po’ tutto: da Franco Ricciardi ai Co’ Sang, ma anche qualche album molto più vecchio. Un tipo di musica napoletana che non mi piace è quella troppo affettata, ed il napoletano che ha vergogna di se stesso. Siamo figli di una cultura, quella italiana, che spinge i napoletani a snaturarsi come se gli dicesse di staccarsi dalle sue origini. Lungi da me però affiancarmi alle idee borboniche perché di questa Italia non cambierei nulla. Molti popoli sono stati cacciati dai loro paesi, ma al popolo napoletano invece sembra che quasi la propria terra sia stata strappata da sotto ai piedi. E’ un dato di fatto che la nostra lingua sia divenuta un dialetto e che il nostro modo di fare venga visto quasi come ridicolo. Io sono cresciuto in provincia di Milano e non ricordo mai in una pubblicità, per esempio, un bambino con l’accento napoletano, quando ciò accadeva era perché veniva rappresentato come un ciccione che faceva ridere. Il napoletano però è anche serio, e la nostra cultura lo dimostra, penso che dovremmo essere difesi proprio come gruppo culturale. I napoletani dovrebbero fare come me: cercare di proteggersi, perché siamo in via d’estinzione, come i panda. Il fatto di scrivere, parlare e pensare in lingua napoletana sia una cosa molto bella ma senza ricadere in cose come l’orgoglio. Penso semplicemente che si debba mantenere le proprie differenze ma in modo che dialoghino tra di loro, un elogio della differenza. Io non mi sarei mai aspettato nel 2014 di vedere guerre di religione. Il mondo è bello perché è vario, ci si arricchisce entrando in contatto con chi è diverso”.
“Ogni riconoscimento è importante. La targa Tenco ancor di più perché è il riconoscimento di duecento giornalisti che hanno ascoltato attentamente diversi lavori e ci hanno tributato quest’attenzione. Questo disco è stato realizzato nello studio di Fausto Mesolella a Macerata, in mezzo alla campagna, lontano dal caos cittadino. Una cosa che non mi piace di Napoli è che a volte fa il verso a se stessa, molto condiscendente ed a volte recita la parte di quel disincanto che porta all’inattività. Come se il napoletano avesse visto tutto nella vita e non gli servissero più esperienze nuove. Da una parte fa ridere questa cosa, ma altre volte ti condanna, invece la provincia da questo punto di vista ha un’energia fantastica. Il fatto di aver costruito insieme questo lavoro in campagna è qualcosa che ci ha aiutati”.
Musica napoletana: “Con il rapper Gianfranco Lucariello siamo lavorando ad un disco che oserei definire strano. Questa commistione tra musica napoletana ed hip-hop napoletano è qualcosa di molto suggestivo ed interessante, per questo continuerò fare lavori del genere”. E su Franco Ricciardi : “è una persona fantastica, canta proprio col cuore. Esploro un modo diverso di cantare, un modo che va al di là delle contaminazioni mediterranee. Sono cresciuto a Milano e questo mi ha reso ancora più fiero di essere partenopeo, perché li non puoi permetterti di rilassarti nemmeno un secondo. Quando sono tornato nella mia città ho avuto subito voglia di conoscerla, di esplorarla, senza essere percepito finalmente come uno straniero perché parlo in napoletano. Certe cose le ho vissute grazie a mia nonna e mia madre, ma una cosa è sentirle una cosa è vederle, e quando le ho viste mi sono entrate nel cuore. Mia nonna e mia madre mi hanno dato l’impressione di essere due persone molto acculturate, perché calate completamente nella realtà napoletana, anche se non istruite. Mi hanno lasciato la loro etica culturale, in una generazione un salto incredibile: tra loro alcuna differenza ma tra la mia generazione e la loro c’è un abisso”.
Francesca Cicatelli
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