1 Maggio 2024

Ospedali come aziende, dirigenti sanitari come manager. Molti potrebbero storcere il naso per il paragone, ma riflettendo sullo stato delle strutture ospedaliere italiane e sui numerosi ritardi nelle prestazioni mediche, la riforma in atto nell’ambito sanitario appare meno azzardata di quanto sembri. D’altra parte i numeri resi noti dalla Società Italiana Medicina Emergenza Urgenza parlano chiaro: in Italia abbiamo 844 pronto soccorso, in cui lavorano 12 mila medici e 25 mila infermieri. Gli accessi sfiorano i 24 milioni di pazienti l’anno, ovvero 2 milioni al mese, 67 mila al giorno, 2.800 all’ora, quasi uno al secondo. Alla luce di questi numeri, appare evidente che una gestione più “aziendale” delle strutture ospedaliere, è indispensabile per far sì che agli enormi costi del settore corrispondano altrettanti introiti.

E’ proprio questo il presupposto che ha spinto il legislatore, nel lontano 1992, ad emanare un provvedimento di riordino del Servizio Sanitario Nazionale – D.Lgs. 502/92 modificato in seguito dal D.Lgs. 229/99 – che ha posto le basi per l’introduzione di strumenti di valutazione e promozione della qualità dell’attività sanitaria.

Tra gli strumenti a disposizione del governo vi è anche la cosiddetta “griglia LEA”, una tabella cioè che assegna un punteggio ad ogni regione (il massimo sono 225 punti), in base al raggiungimento di traguardi nei livelli essenziali di assistenza (i LEA appunto), come i tassi di vaccinazione, i servizi agli anziani, i ricoveri ospedalieri appropriati e non, controlli sulla sicurezza del lavoro e così via. Gli ultimi dati sono del 2013 e premiano la Toscana (214 punti), che ha scavalcato l’Emilia Romagna (204 punti), fino all’anno prima in testa alla classifica di virtuosità. E’ invece scesa di punteggio la regione Lombardia (187 punti), ferma al sesto posto insieme alla Liguria. Maglia nera alle regioni del sud e alla Campania in particolare, che pur avendo un punteggio in crescita, non è riuscita a rimontare dall’ultima posizione, rimanendo l’unica regione sotto i 130 punti, soglia minima per raggiungere la sufficienza assistenziale.

E’ anche grazie a questi nuovi strumenti di valutazione che si è venuto perciò a creare lo spazio per la figura di un operatore sanitario con competenze manageriali. Ecco perché negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di master di II livello in management sanitario, destinati a fornire competenze gestionali anche a coloro che lavorano in Aziende Sanitarie e  Ospedaliere, negli IRCCS, nei Policlinici e nelle strutture di cura private. In pratica questi master consentono di acquisire nozioni necessarie a gestire problematiche organizzative, contabili e di gestione delle risorse umane, nonché di valutare gli esiti in termini economici e di qualità dei servizi erogati. In parole povere: di offrire una mentalità aziendale anche alle strutture sanitarie, che fino a poco tempo fa erano del tutto estranee ai concetti di efficienza, efficacia ed economicità.

Oggigiorno praticamente ogni facoltà ha all’attivo un master in management sanitario, senza contare gli innumerevoli master disponibili on line.

La creazione di questi ruoli in ambito sanitario, va di pari passo con la riforma in ambito universitario, che mira ad una più ristretta selezione di candidati. Solo quest’anno, l’accesso ai test della facoltà di Medicina, ha visto un taglio del 4%, con soli 9.513 posti disponibili a fronte dei 10.083 dello scorso anno. Il taglio, come affermato dallo stesso MIUR, è stato necessario per ridurre il cosiddetto “effetto imbuto” che si creava tra la laurea e le scuole di specializzazione. Anche se, come prevedibile, la sforbiciata ha scatenato le ire dell’Unione degli Universitari.

Dirigenti sanitari sempre più specializzati e simili a manager aziendali, sembra questo quindi, il destino della futura classe medica italiana. Non tutti apprezzano questa evoluzione, forse temendo che possa essere posta in secondo piano la componente medica e umana di certi ruoli. Tuttavia, tenendo presente la peculiarità delle strutture ospedaliere, non si comprende perché anche queste, non possano diventare realtà aziendali brillanti, come già avviene per tante imprese italiane.

L’Università Telematica Pegaso a questo proposito ha pubblicato due master in management sanitario:

  • Il Master di I livello per le funzioni di coordinamento sanitario accessibile ai laureati triennali (Infermieri, Fisioterapisti, Ostetriche, Tecnici sanitari di Radiologia Medica, Tecnici di laboratorio biomedico, ecc.), titolo che consente l’accesso ai concorsi per la copertura del ruolo di “Coordinatore”;
  • Il Master di II livello in Management delle Aziende Sanitarie accessibile ai laureati magistrali (Medici, Biologi, Farmacisti, Professionisti sanitari, ecc.), titolo richiesto per la copertura del ruolo di Dirigenza (ex Primari) delle Unità Operative Complesse.

Il metodo di studio offerto dall’Università Pegaso è particolarmente innovativo prevedendo la formazione a distanza (e-learning) integrata da attività didattica in presenza laddove necessario (tirocinio, seminari, esercitazioni).

E’ da questa formazione manageriale che ci aspettiamo una razionalizzazione delle risorse onde offrire un’assistenza sanitaria adeguata alle esigenze del cittadino.

 

A cura di Napoli Centro s.r.l.

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