2 Maggio 2024

La Juventus afferma di essere maltrattata in Europa, di non essere tutelata dagli arbitrati internazionali. A ben guardare, potrebbe anche avere ragione. La Juventus è una squadra del profondo sud dell’Europa, molto più a sud di Parigi, di Londra, di Monaco…

A cura di Maurizio Lojacono 

 

…Se non si guarda la cartina geografica, viene da pensare che sia anche molto più a sud di Barcellona, semplicemente perché è in Italia. La Juventus, per il mondo del calcio, è semplicemente una squadra dell’Italia terrona. Per questo, da sempre è alla ricerca di una vera dignità europea, una patente per entrare nella buona società. Una Coppa vera, non quella vinta all’Heysel, nei modi e nelle circostanze che la storia ricorda con vergogna, traguardo che invece non viene mai raggiunto. Cannibale in patria, cenerentola nel mondo. La città juventina è rimasta aggrappata al mito della Coppa dei Campioni, ora ancora di più, da quando la chiamano Champions League ed ha assunto un colore più internazionale.

La spasmodica rincorsa alla vittoria in campionato non è fine a se stessa, ma è sempre l’ennesimo tentativo di entrare in Champions League dalla porta principale, da dove è normalmente messa fuori. La Juventus non ha un bel gioco, a memoria più o meno recente è rimasta sempre legata al principio che le partite si vincono uno a zero, con una difesa blindata. Le cronache malignamente riferiscono che la società, a volte, avrebbe avuto un concetto di difesa molto ampio, con vari protagonisti in sovrannumero a tutelare i colori della squadra, pur di arrivare primi. A parte le capacità economiche della proprietà, il fatturato superiore si spiega anche con i costanti accessi in Champions, che apportano introiti non di tasca propria. Ma in Europa la Juventus rimane una squadra del sud ed ora manifesta in campo gli atteggiamenti tipici della patria Terrona, che, per convenzione, sono stati attribuiti solo al suo Mezzogiorno. Da “lei non sa chi sono io”, in casa Juve si è passati a “ora ti faccio vedere io, visto che te ne sei dimenticato”. Un certo Maradona incassava calci e manate da tutti i difensori, ma quando era al cospetto dell’arbitro incrociava le mani dietro la schiena e parlava a capo chino, come si fa verso l’autorità costituita. Mi raccontano che a Torino, il giorno del derby, sia successo qualcosa di diverso.

Non ho visto la partita, quindi raccolgo notizie dalla stampa e dai video impietosamente trasmessi sul web. Sembrerebbe che un giocatore della “Signora” non si sia comportato in adeguata maniera signorile ed abbia avuto un contatto fisico con l’arbitro, per questioni di calci di rigore, ammonizioni, espulsioni od altri simili giochini da ragazzi che rincorrono una palla. Pare che la “Signora” non abbia neppure stigmatizzato l’accaduto e nessuno si sia preso la briga di adottare qualche provvedimento, omissione che potrebbe avallare il ripetersi di simili scugnizzate napoletane. Le norme etiche dello sport impongono comportamenti e sanzioni che non necessitano di alcuna illustrazione. Per molto meno e secondo le regole, un calciatore è mandato a casa per molte settimane, a riflettere se non sia il caso di smettere di giocare. E dopo essere stato spedito a riposo forzato dall’arbitro, la società prende provvedimenti anche più severi, se è una “Signora”, tanto più se si vanta di essere altolocata. Ma vi sono altre regole, che vale la pena non sottovalutare. Un signore con divisa nera ferma un automobilista per contestare una contravvenzione.

Il signore si avvicina con fare minaccioso, fino a toccargli il volto con la fronte. L’automobilista finisce in prigione, perché il signore con divisa nera è un pubblico ufficiale, improvvidamente minacciato per omettere un atto del proprio ufficio, come recita l’art. 336 c.p. Se il pubblico ufficiale non denuncia il reato commesso ai suoi danni, a sua volta è punibile ai sensi dell’art. 361 c.p. Si è molto discusso se un arbitro dell’A.I.A. rivesta o meno la qualifica di pubblico ufficiale. Non si intende affrontare in questa sede, di puro svago, la intricata questione. Le nostre partitelle domenicali (o quasi) rientrano nella competenza della FIGC, che normalmente assume la qualifica di “organo del CONI” e partecipa della natura pubblica di questo. Gli arbitri sono tesserati AIA, un’associazione che dipende, anche economicamente, dalla FIGC, a sua volta inquadrata nel CONI, che è appunto un ente pubblico. Se qualcuno, dotato di necessarie competenze giuridiche e tanto tempo libero, avesse in animo di approfondire la questione, potrebbe ipotizzare che la casacca nera dell’arbitro dell’AIA, come quella del bravo carabiniere che intima lo stop all’automobilista, attribuisca la qualifica di pubblico ufficiale o quanto meno di un incaricato di pubblico servizio, il quale, nell’esercizio delle sue funzioni, non può essere minacciato od aggredito, a pena di commettere un reato.

Mi risulta che nel mondo questa sia la regola e tutti la tengono bene a mente. Forse è per questo che l’Italia terrona è considerata un po’ fuori dall’Europa, almeno fino a quando i valori etici dello sport, in mancanza del necessario intervento degli organi direttamente competenti, per sopravvivere non debbano chiedere soccorso al codice penale. In conclusione, simili comportamenti porteranno due possibili danni maggiori. La prossima partita, in quella squadra saranno espulsi due giocatori, rei di aver guardato male l’arbitro da lontano. In alternativa, due giocatori si rivolgeranno all’arbitro a muso duro, che guarderà dall’altra parte per non vedere. Così, si può vincere uno scudetto, ma l’Europa si allontana sempre più.

Maurizio Lojacono
Avvocato
Componente Commissione Integrata
Ordine Giornalisti – Tribunale di Napoli
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