6 Maggio 2024
Quando il sociale diventa una professione. Chi è Mauro Antonini.

Quando il sociale diventa una professione. Chi è Mauro Antonini – Incontriamo oggi un’imprenditore nel terzo settore che opera nella capitale. Mauro Antonini, romano classe 79 è un manager che grazie alla sua devozione verso il sociale ha aperto nuove frontiere al mondo imprenditoriale offrendo servizi dedicati a coloro che, per tante motivazioni, non riescono a sopperire ai propri fabbisogni.

Antonini cosa significa per lei “Terzo Settore” e ci spieghi quali sono i servizi offerti da questa che definiamo tranquillamente la sua azienda.

Ho cercato di sviluppare un’idea di business che potesse essere una sintesi tra l’attività di
volontariato sociale, che pratico da sempre, e l’impresa. In un mondo sempre più complesso, digitalizzato e tecnologico, ma con grossi divari sociali e culturali, il cosiddetto “welfare” è un
aspetto che deve essere presente anche nelle aziende, a prescindere dalla loro grandezza o settore di competenza, affinché nessuno rimanga indietro.
Per questo erogo servizi di “welfare aziendale” su tutto il territorio nazionale.
Lo faccio per grandi gruppi come Ferrero, IVASS, WIND, 3 ed EXXON Petroli. Si tratta di assistenza a 360 gradi per dipendenti, impiegati e dirigenti: dal pagamento delle rate della mensa scolastica per i figli, all’evasione di qualsiasi tipo di pratica amministrativa. Il concetto è che il lavoratore deve essere seguito dall’azienda in cui lavora anche al di fuori dell’ufficio. Il datore deve interessarsi di lui, del suo benessere e della sua famiglia affinché non solo sia più produttivo, ma che abbia anche più tempo libero da dedicare ad altro. Nel mio piccolo
cerco di mettere in pratica una piccola rivoluzione culturale, nulla di nuovo: è etica del lavoro.

Quanto è cambiato secondo lei il mondo del sociale in tempi di Covid.

Restrizioni, distanziamento sociale, chiusura di attività e persone de facto recluse in casa, non
hanno fatto altro che aumentare la solitudine di chi già prima viveva in condizioni di precarietà, ai margini, alla periferia della società. Penso, ad esempio ai disabili e ai soggetti più fragili. In più si registrano casi di nuove psicopatologie, aumento della depressione che dilaga anche tra i più giovani e mi sembra chiaro che lo smart working, se pur organizzato e regolamentato a dovere per alcune tipologie di lavori, non può essere affatto esteso a tutti né può essere considerato la panacea di tutti i mali.
Anzi: l’aumento di ore davanti ad uno schermo, quando fuori c’è il deserto, può acuire certi disagi. Inoltre, se da circa 10 anni i cittadini percepiscono uno scollamento e una distanza da parte delle istituzioni, figuriamoci oggi. Come si fa a socializzare in condizioni del genere? Come è possibile pensare ad una vera istruzione non in presenza? In alcuni quartieri di Roma, ad esempio, centri culturali, centri anziani e biblioteche che, con enormi difficoltà, e in molti casi solo grazie all’aiuto di qualche privato, riuscivano ad organizzare la vita in comunità e ad essere punti di riferimento e di aggregazione. Oggi? Purtroppo la domanda è chiaramente retorica…

La città di Roma sta vivendo un periodo “intenso” dal punto di vista dei rapporti sociali, d’identità cittadina e come capitale d’Italia; lei ha una ricetta per risollevare le sorti capitoline?

Cercherò di essere schematico: serve una legge speciale per il bilancio di Roma. La Capitale d’Italia non può ancora annaspare tra buchi (non solo quelli del manto stradale) e scartoffie burocratiche.
Mi piacerebbe una Roma dove non sia un incubo arrivare con i mezzi pubblici da Settecamini in centro, dove ogni quartiere possa avere le istituzioni di prossimità efficienti ed efficaci e magari cinema, palestre e piscine non a mezz’ora di macchina.
Per questo credo che una mia eventuale candidatura non possa essere sostenuta da chi ha amministrato Roma negli ultimi anni né tantomeno dal centrosinistra che ha gestito la Regione in modo opaco.

Come sarà secondo lei il mondo del terzo settore nei prossimi anni?

Immagino un terzo settore che per gli italiani e per lo Stato non sia un di più ma una quinta
colonna inserita organicamente nella pubblica amministrazione. È impensabile continuare ad
operare sempre e solo grazie all’incredibile sacrificio di volontari. Lo Stato ha il dovere di occuparsi degli ultimi e di colmare le sue lacune. In una società che cambia velocemente ed è sempre più complessa, credo sia necessaria una formazione adeguata del personale del terzo settore.
L’associazionismo può essere utili se l’approccio è professionale e se si coinvolgono le grandi
aziende: investire in risorse umane che abbiano competenze trasversali per affrontare a 360 gradi le sfide del futuro.

Quando il sociale diventa una professione. Chi è Mauro Antonini

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